Più volte ho rimarcato che non mi piace troppo conoscere giocatori, allenatori e dirigenti di cui scrivo. In generale, non mi piace fare interviste, salvo aver capito la sincerità di una persona con cui ho a che fare. La stessa cosa con cantanti, attori o comunque personaggi "pubblici" che durante il cammino mi è capitato di incrociare. Io - tifoso accanito di Francesco Moser - ritrovatomi casualmente a lavorare in momenti differenti con lui e con Giuseppe Saronni. In parole brevi: erba di scarpata ferroviaria uno e splendido tulipano l'altro. Non voglio scottarmi e nemmeno rischiare di essere deluso. Credo che spesso si faccia davvero fatica a separare l'essere tifoso o semplice ammiratore quando si tratta di dover giudicare il lavoro di una persona. Stefano Maccoppi mi ha fatto passare minuti di sconforto quando nel 1990 segnò di testa al Sinigaglia il goal del vantaggio del suo Como contro il mio Torino. Ero in curva. A dorso nudo come tutti quelli che avevano affrontato la trasferta consapevoli che solo una serie di vittorie avrebbe potuto salvarci dalla retrocessione. Cosa che avvenne all'ultima giornata perdendo sul campo del Lecce. Fra Como e Torino - nonostante l'iniziale vantaggio lariano - la prima ad essere retrocessa ufficialmente fu la squadra dell'attuale tecnico del Locarno. Uomo di poche, ma sensate parole. Mai conosciuto, salvo qualche breve intervista di rito nei dopo partita di Challenge League al Lido. E' anche capitato che si sedesse in tribuna al mio fianco in qualche stadio del Cantone.
L'idea di volerci chiacchierare è stata sconfitta dalla paura di restarne deluso. Perché Maccoppi è diventato una sorta di esempio positivo, di quelli da citare e tenerne posto in ciò che resta nella memoria di un quasi cinquantenne, dopo aver portato il La Chaux de Fonds ad una salvezza miracolosa nella stagione 2008-2009. Non ricordavo nemmeno della sua breve parentesi a Bellinzona qualche stagione prima. Capivo partita dopo partita che in quei risultati si nascondeva il lavoro di uno che aveva scoperto tutto. Di uno che riusciva - chissà come - a tirar fuori dai suoi giocatori (molti dei quali in campo senza la certezza di ricevere uno stipendio) prestazioni che la consapevolezza di una retrocessione burocratica non avrebbe potuto farle diventare così straordinarie. Non so quanti allenatori italiani abbiano avuto il merito di non arrendersi e di restare così a lungo nelle grazie di una terra tradizionalmente "falsa" nel proprio giudizio meritocratico sugli stranieri. Il Ticino prima di altre. La sinergia con la quale stanno lavorando in questi anni il FC Locarno e Stefano Maccoppi ha molta similitudine con i tempi della Charriere. E poco importa adesso come adesso se nel mezzo tra le due esperienze vi siano state quelle sostanzialmente utili, ma poco generose di riconoscimenti, come quelle di Yverdon e Neuchatel. Il presente è un fiore sbocciato con il duro lavoro del campo. Con la pazienza - tipica di un lombardo - nella cura di uno spogliatoio la cui fragilità può essere in primo luogo dettata dalla giovane età dei suoi componenti. E' ancora (molto) prematuro pensare che a fine stagione il Locarno possa festeggiare la salvezza. Intanto, la classifica parla a favore delle bianche casacche che in questi primi mesi di gioco hanno lasciato intendere che l'impresa sia possibile. "Impresa" perchè un po' tutti avevano previsto per la prima squadra del club della famiglia Gilardi un campionato senza scampo. Di recente Maccoppi è sceso in pista sul tema della "depressione" che ha colpito il calcio ticinese. In sintonia con quanto sostenuto da anni proprio dai suoi attuali datori di lavoro, il mister ha sottolineato l'importanza dell'impegno nei confronti dei giovani: "unico bene sicuro sul quale aggrapparsi." Nel mondo instabile del calcio moderno, comunque la si pensi, quelli come Stefano Maccoppi sono un patrimonio da tutelare. Indipendentemente dalla carta d'identità. Un "tesoro" dal quale attingere per migliorarsi. E poco importa se un domani, magari conoscendolo di persona, si possa restarne delusi. In questi casi, parla il campo.

"Non ho alcuna intenzione di rassegnare le dimissioni. Lo farei soltanto se fossi convinto di non poter dare o ricevere soddisfazioni" (Stefano Maccoppi 8 Ottobre 2012)
"C'è in giro molta ipocrisia ed il ruolo assunto dai procuratori ha raggiunto proporzioni esagerate". (Stefano Maccoppi 6 Ottobre 2013)