di Pierluigi Tami
Osservando dall'esterno la partecipazione e l'entusiasmo degli atleti e della gente attorno ai Giochi olimpici in corso a Sochi, da un certo punto di vista provo una sana invidia. E il motivo è molto semplice. Alle Olimpiadi ho partecipato con la nazionale di calcio, ma a Londra 2012 non siamo stati capaci di vivere appieno l'esperienza olimpica. Il primo motivo è certamente legato alla logistica del torneo di calcio, che ci ha portato in giro per l'Inghilterra e il Galles, ma senza essere davvero vicini ai Giochi. Alla cerimonia inaugurale non abbiamo potuto partecipare, così come non abbiamo vissuto il villaggio olimpico. L'esperienza della vita comune di una delegazione alle Olimpiadi è molto importante. Così come il confronto con altre discipline. È una situazione che porta grande carica e quando arrivano le medaglie l'entusiasmo magari per il successo del singolo atleta si trasforma facilmente in stimolo per tutti gli altri. Ripensandoci oggi, è un vero peccato non aver potuto approfittare del confronto con altri atleti, altri sportivi e altre discipline per trarne maggiore carica agonistica.
Il calcio, poi, vive una situazione piuttosto diversa rispetto ad altri sport. Nel senso che un atleta che arriva ai Giochi sa che è il punto culminante della propria carriera. Ma nel calcio questo aspetto non si percepisce, perché l'accento va soprattutto ad eventi come i campionati del Mondo o Europei. Anche perché non essendo l'Olimpiade inserita in "data protetta", avere a disposizione tutti i migliori elementi non è possibile e questa situazione si trasforma in una sorta di resistenza che si percepisce in modo chiaro dal profilo morale. Perché non c'è la stessa partecipazione emotiva rispetto a Mondiali o Europei. È un vero peccato, ma è anche la cruda realtà.
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Etichette: Pierluigi Tami, Rassegna Stampa